L'apparizione di Roberto Saviano sugli schermi di Rai Tre a Che tempo che fa è stata una lunga immersione/riflessione sul peso delle parole, su quanto schiaccino ogni giorno la nostra vita e su quanto possano liberarla dall'oppressione quotidiana di chi cerca, sempre attraverso esse, di minarla. Di veicolare i nostri pensieri su un binario morto.
Parole, dunque. Queste sono quelle del segretario generale del Sindacato Autonomo di Polizia, Nicola Tanzi:
Questo mucchio di parole sono un rovesciamento totale della realtà e sono un'offesa - non solo a Saviano - ma a tutti quegli agenti di polizia che la lotta alla mafia la fanno tutti i giorni sul campo (rischiando la vita, non perdendosi in diffamazioni) e non vogliono farsi strumento di una propaganda che non gli appartiene. Per far ottenere a questi uomini e donne uno stipendio migliore e congruo al loro mestiere non c'è bisogno di leccare i piedi al padrone. Ci potrebbero essere metodi ben più efficaci.
Il cardine di questa mistificazione scientifica quanto irrazionale sta tutto nella frase in cui Tanzi dichiara che la sovraesposizione mediatica di Saviano "non serve a smuovere l'animo dei clan". Infatti, l'impegno di questo uomo-scrittore serve soprattutto a smuovere noi e l'animo nostro, imbevuto e assuefatto alla paura.
E tutto questo avviene attraverso la parola: Roberto non è che una bilancia (non l'unica, si spera) che riesce a pesarla.